"Perchè stai male? Perchè questo continuo e costante senso di oppressione? Perché non puoi semplicemente accontentarti? Guarda il mondo in cui vivi: chiunque riesce ad adattarsi, a farsene una ragione... le vite scorrono in guide ben calibrate da un destino ferreo e impronunciabile. Ogni essere umano prosegue nel suo viaggio, costretto o liberamente."
"Non lo so... sarà che sono vuoto. Che nulla appare riempirmi."
"Hai veramente mai tentato di risolvere il problema? Hai provato con tutto te stesso a colmare questo tuo stato emotivo?"
"Credo di sì."
"Ne sei convinto?"
"Forse tutto ciò che ho passato, la lacerazione, questa insoddisfazione eterna e apparentemente così solida da non poter neanche pensare di spostarla, non riesco ad affrontarla. Non credo sia colpa mia."
"Non credi sia colpa tua? E di chi sarebbe?"
"Di nessuno. Non sono stati i miei genitori. Tutto sommato, non credo di poterli biasimare per alcuna scelta. Ho avuto un'infanzia felice. Ho avuto un'adolescenza spensierata. Ho amato, ho voluto bene"
"E l'amore? Forse è sua la colpa."
"No. Certo è che l'amore è sostanza. L'amore è corpo, puo' riuscire a riempirti finchè non svanisce in un cesso sporco di una discoteca underground. Lascia dietro di sé un campo desolato di silenzio e etere. Distrugge qualsiasi certezza, sovverte ogni schema razionale umano. Forse è stato una sorta di catalizzatore. Forse ha ampliato ciò che stava già accadendo. Privazione è esplosione."
"E che sta accadendo? Cosa ti spaventa? Perchè la normalità ti appare così irraggiungibile e irreale?"
"Non voglio omologarmi. Credo che tutto sia iniziato da ciò, un sentimento innato e profondo di ribellione e sovversione. Se tutti proseguono in una direzione, io nuoto controcorrente. Devo farlo. È il mio essere."
"È la normalità da cui stai fuggendo?"
"Apprezzerei la normalità se potessi. Lo vorrei con tutto me stesso. Vivere una vita colma di figli e asili e scuole elementari, spese di sabato pomeriggio al centro commerciale con tutta la famiglia, salotti arredati e cucine ultramoderne, condividere ogni azione con chi mi ama, con chi riesce a capirmi. Ma non posso. Non l'accetto. Odio me stesso per questo, la diversità tanto desiderata mi rende un mostro agli occhi miei stessi. Non è poi così divertente."
"Perchè fuggi? E perché in una realtà dove adattarsi, amare, soffrire, condividere e spogliarsi di tutto è normale, tu non riesci ad inserirti?"
"Istinto. Mi porta a riflettere, guardarmi allo specchio, come un osservatore esterno nelle diverse situazioni. Mi giudico, forse troppo severamente. Ma non riesco a non farlo. Io sono così. Nella mia forma più profonda. Non posso farne a meno."
"Allora, perché stai male?"
"Vorrei poter dire che ho avuto un'infanzia difficile, o qualche tipo di trauma familiare... o magari una storia d'amore finita male, o magari di essere un disadattato antisociale... ma non è così... semplicemente credo che ci siano persone più predisposte al dolore di altre, senza particolari motivi. Non dimenticheranno, non se ne faranno una ragione, non inizieranno di nuovo dall'inizio. Fosse una questione di sensibilità sarebbe così semplice. Ma si tratta di una questione più profonda, nascosta, permea il soggetto dal profondo, scorre nel suo essere come sangue. Io lo sono. E mi dispiace. Non per gli altri, per le persone che mi stanno attorno e che realizzano il mio disagio, non per per coloro che mi amano e mi hanno amato e sono riuscito a farmele nemiche, ad allontanarle. Mi dispiace per me stesso. Perché la sola persona a cui questo puo' nuocere è la sottoscritta. Mi odio, per questo. E mi amo, per questo."
"Ho capito. Ora dormi e sogna."
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